Psicoterapia per tutti? Anche no
Quando la cura diventa moda, e la moda diventa mercato.
Non è vero che abbiamo tutti bisogno di andare in psicoterapia.
È vero che abbiamo tutti una salute mentale della quale prenderci cura.
Partiamo da qui.
Da quando si è alzato il velo di stigma che copriva la terapia psicologica e non ci si vergogna più a dire che si va dallo psicologo, si è svelata una nuova proficua nicchia di mercato, una vacca grassa che in tanti vogliono mungere.
È un proliferare di proposte di percorsi, videocorsi, certificazioni, app, pdf e chi più ne ha più ne metta, che promettono il benessere in maniera semplice e veloce.
Mia nonna diceva: presto e bene raro avviene, non so le vostre. Non era un claim piacevole, ma era onesto.
Se c’è una cosa della quale ho sempre avuto consapevolezza, dunque, è la fatica. Davanti alla fatica mi sono bloccata per anni, e se da un lato non è di certo una caratteristica di cui vantarsi, dall’altro conosco profondamente il valore del lavoro. Intesto come sforzo e tenacia.
Per me personalmente - proprio per me Federica, non un modo di dire in cui cerco di intendere tutto il genere umano senza darlo a vedere - ha molto senso focalizzarsi sulla fatica: aiuta a fare le scelte con maggiore consapevolezza. So che mi dovrò sbattere per fare una determinata cosa, che dovrà diventare una mia priorità e mi chiedo: mi va? Davvero? Davvero, davvero?
Parlando di fatica - visto che l’ho già citata tre volte e questa è la quarta - una delle cose più faticose che io abbia mai affrontato è stata la psicoterapia. Avevo una grande sofferenza che poi si è scoperto essere un disturbo di personalità e un percorso psicoterapeutico strutturato era l’unica possibilità di guarigione con un sufficiente margine di validità scientifica.
A me la fuffa non piace, perderete tempo non piace, buttare i soldi non piace, sentirmi scema ad avere provato tutto prima di scegliere la strada più verificata non piace, ergo: sono andata in psicoterapia e sono guarita dal mio disturbo di personalità.
Non posso negare di aver imparato tanto. Non posso negare di aver acquisito strumenti per capire e sentire me stessa e per interpretare la realtà circostante che ritenevo impossibile ottenere a meno di non averli per benedizione genetica. Non posso negare che non credo sarei mai diventata quella che sono senza psicoterapia. Eppure sono assolutamente certa che la psicoterapia non serva a chiunque.
La psicoterapia è un intervento clinico regolato da legge e basato su modelli teorici strutturati, che solo psicologi abilitati o medici psicoterapeuti possono praticare. Non è un supporto emotivo, non è una consulenza. Ha l’obiettivo di modificare in modo duraturo il funzionamento psichico della persona, intervenendo su sofferenze emotive, relazionali o comportamentali. Può includere il lavoro sul passato, sul presente o su schemi profondi, e richiede una relazione terapeutica costante e intenzionale.
Dire che chiunque avrebbe bisogno di fare psicoterapia significa patologizzare l’esperienza interna umana, invece secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità solo il 17% della popolazione ha un disturbo mentale diagnosticabile in un dato anno.
Significa dire che: chiunque ha bisogno di un intervento clinico regolato da legge e basato su modelli teorici strutturati per modificare in modo duraturo il suo funzionamento psichico attraverso una relazione terapeutica costante e intenzionale; e questo è semplicemente falso.
Il primo modo di prendersi cura della propria salute mentale è la prevenzione, esattamente come per la salute fisica. Questa passa attraverso un corretto contenimento emotivo, che avviene principalmente in famiglia, poi a scuola e nel rapporto tra pari, infine esteso al contesto sociale inteso in senso più ampio.
Di semplice e veloce fin qui manco l’ombra.
Arriviamo alla questione della nicchia di mercato e della vacca da mungere. Proporre la psicoterapia come panacea per tutti i mali (mentali) dell’umano fa parte di una strategia di mercato. Proprio come i videocorsi, i vari PDF, le app che cercano di raggiungere i bisogni - reali o indotti? Questo è un’altra questione - di più persone possibili per fargli aprire i portafogli con l’illusione di stare meglio senza sforzo.
Se ieri erano in pochissimi a sapere cosa fosse il lavoro psicologico, a capire quando ce n’era bisogno e a poterselo permettere, oggi l’alfabetizzazione in questo campo è decisamente più diffusa, ma ci sono altri fraintendimenti. Molte persone pensano che “cura della salute mentale” = “fare psicoterapia”, ed è proprio questa equazione implicita che rende tutto monetizzabile.
E chi alimenta questo meccanismo? Da una parte ci sono le grandi piattaforme come Unobravo, Serenis, Better Health, Headspace, Calm sicuramente, dall’altro un numero crescente di professionisti che tentano la strada dell’autopromozione sui social e sempre di più anche profili che di salute mentale sanno poco o nulla. Per altro, mentre da un grande gruppo ci aspettiamo che si faccia pubblicità, dal singolo professionista o da persone comuni come degli ex pazienti no; quindi siamo più esposti alle fregature.
Mi sono posta il problema quando ho lanciato, per un breve periodo, il mio Diario di Terapia. Era un PDF di più di 70 pagine, composto da tutte le strategie che avevo appreso in terapia e mi erano state utili nel percorso di guarigione. L’ho fatto revisionare da tre psicoterapeute e l’ho proposto come supporto alla terapia. Avevo anche scritto nero su bianco di chiedere al proprio terapeuta se poteva essere utile e eventualmente di scegliere insieme quali pagine usare e come, per poi riportare il monitoraggio settimanale in terapia.
Tirare su un business da un PDF era oggettivamente impossibile, a differenza di quello che raccontano nelle sponsorizzate, ma credevo sinceramente e ci credo tutt’ora nella qualità e nell’utilità di quello che avevo realizzato. Utilità che mi è stata confermata da diversi professionisti, ad alcuni dei quali l’ho anche regalato per stamparlo liberamente e usarlo in terapia.
Lo racconto perché il problema non è la vendita in sé; non tutto quello che viene commercializzato è il male, non tutto l’aiuto può o deve essere gratuito. È però doveroso fare attenzione a come si promette aiuto. Eppure la linea di demarcazione è sottile, ecco perché bisogna stare molto più attenti di quanto non stiamo facendo. La psicoterapia resta imprescindibile quando c’è vera sofferenza clinica, semplicemente non siamo tutti clinicamente sofferenti. D’altro canto non siamo nemmeno tutti bisognosi di app e PDF che allontanano dalla psicoterapia o da altre forme di cura relazionale.
Un esempio che riguarda direttamente la mia categoria di istruttori e istruttrici di mindfulness: usare le app non è sbagliato in senso assoluto, ma sono contraria a suggerire le app se prima non c’è stata un’introduzione alla mindfulness da parte di una persona qualificata. La mindfulness non è una strategia di rilassamento innocua, eppure la vedo spammata a destra e a sinistra come se non potesse avere effetti collaterali.
(Qua bisognerebbe aprire anche un capitolo sulla formazione degli istruttori, magari un’altra newsletter)
La cura della salute mentale è un ecosistema, non un unico strumento. Noi stiamo andando forte sugli strumenti mentre una delle colonne portanti dell’ecosistema, leggi: servizio sanitario nazionale, la stiamo smantellando.
È giusto promuovere la cultura del benessere psicologico.
È giusto lottare contro lo stigma.
È giusto normalizzare la sofferenza emotiva.
Ma farlo a colpi di marketing, semplificazioni e messaggi preconfezionati rischia di produrre l’effetto opposto: alimentare frustrazione, medicalizzare l’esperienza umana e far credere che se non fai terapia, se non segui un corso, se non compri qualcosa, allora non ti stai prendendo cura di te.
Prendersi cura di sé può significare anche solo imparare ad ascoltarsi, dire qualche no, chiedere aiuto a un’amica, camminare mezz’ora, leggere un libro che ti fa sentire visto. Cura non è solo accesso, ma anche contesto. E se oggi possiamo finalmente dire senza vergogna “vado in terapia”, forse è arrivato anche il tempo di poter dire, senza che questo venga considerato negazionismo emotivo:
“Non ne ho bisogno.”
Grazie! Un articolo lucidissimo in cui ritrovo alcune mie "opposizioni" recenti a proseguire un percorso terapeutico per me concluso con efficacia. Penso la cosa più importante sia riconoscere di aver risolto il problema primigenio e di aver ricevuto gli strumenti individualmente adatti per affrontare il resto della vita anche senza terapia (si può sempre tornare se queste condizioni dovessero venire a mancare).
Ho adorato. È molto il linea con la mia ultima nl peraltro, che fatica (e cinque!)