Racconto breve di autopromozione riluttante
Testo semi-serio di una libera professionista che prova a vendere senza fuffa
Non siamo mai stati tanto bombardati da pubblicità come negli ultimi cinque anni. Sì, perché è chiaro come la luce del sole che dal Covid in poi la bolla dell’autopromozione ha fatto pop e ha lanciato la sua nuvola di porporina un po’ ovunque.
E come funziona la porporina? Che si appiccica e te la ritrovi in ogni anfratto, ragion per cui la saggia Madame Gazzella (maestra di Peppa e George Pig) la tiene nascosta in un caveau!
Se è vero che la pubblicità è l’anima del commercio, i liberi professionisti non possono non farsi pubblicità. Cioè: non possono non proporre i loro servizi e quindi gli tocca imparare come fare autopromozione.
Il passaparola esiste ancora, ma non è sufficiente a pagarcisi l’affitto, le bollette, la formazione permanente e così via. Ergo, bisogna tapparsi il naso e buttare giù la pillola amara: imparare e dire “sono brava a fare questo, sceglimi per farlo insieme a me”.
Per farvela breve, a questo punto oggi mi ci ritrovo pure io. E ve lo dico, è una faticaccia.
👉 Se ci siete passate/passati anche voi e volete parlarne nei commenti mi fa piacere.
Coniugare etica e marketing è difficile, soprattutto è difficile fare tutto da sola. In questa newsletter ho spiegato come NON promuoversi da psicoterapeuti e ho dato anche qualche spunto per un’autopromozione più appropriata, ammetto però che ricoprire così tanti ruoli porta ad un sovraccarico significativo.
Metto sul piatto il mio case study
Il 21 maggio alle 19, per 4 mercoledì consecutivi parte il mio percorso “Stare con quello che c’è” (anche detto SCQCC - esseciqucici per brevità) e mi trovo a doverne parlare per avere praticanti.
Ogni incontro ha una struttura solida che prevede l’accoglienza, la pratica guidata, l’esplorazione del triangolo della consapevolezza (corpo, emozioni, pensieri), uno spazio sicuro di condivisione: inquiry e attività di raccordo settimanali.
Sono sicura che sia un percorso interessante, ben fatto e ben pensato. Ho seguito tutti gli step:
ho fatto una ricerca basata sulle richieste delle persone che mi seguono: disregolazione emotiva e ricerca di orientamento e sollievo,
ho proposto qualcosa di nuovo: non ce ne sono altri in giro,
ho scelto di fare SOLO percorsi live perché per me la mindfulness con le app può andare bene per chi già pratica da tempo,
il gruppo sarà piccolo per potermi dedicare a tutti.
È pensato per chi vive momenti di disorientamento emotivo, per chi sente che le emozioni spesso prendono il sopravvento, e per chi ha bisogno di un luogo dove iniziare a stare senza dover aggiustare niente. È perfetto per i principianti, ma anche per chi non ha occasione di praticare in gruppo o con una conduzione.
Insomma, c’è veramente tutto e sono molto convinta di quello che ho creato. Però.
Però devo constatare che essere sicuri della propria proposta e venderla non sono per niente la stessa cosa.
E cosa si fa quando non c’è un’abitudine? Ci si guarda intorno, si cercano modelli di riferimento. Beh, io non ne trovo.
Mi sono dunque messa nei panni degli altri professionisti in generale e ho capito che la carenza di esempi virtuosi è un problema.
Bisogna infatti avere un grandissimo senso di sé e della propria etica per scremare e trovarSi, anche professionalmente parlando, e proporsi coerentemente di conseguenza.
Il punto è che: vendere qualcosa che nasce da una ricerca sincera, da un’urgenza condivisa e da un’intuizione autentica, nonché dalla propria preparazione… non rende automaticamente facile parlarne.
Prendiamo la nicchia degli istruttori di mindfulness. Io non voglio essere paragonata a quelli che si formano con un corso a caso da 490 euro PERENNEMENTE scontato a 79 euro e ESCLUSIVAMENTE on demand.
Pratico da quasi 13 anni, ho fatto io stessa un percorso di MBSR come praticante, sono iscritta all’albo Federmindfulness n°2945 se volete controllare, nel Corso Istruttori dell’Istituto di Mindfulness Interpersonale mi hanno fatto condurre, ho visto gli altri condurre, abbiamo ricevuto feedback dai professionisti, in più sono in supervisione e ho accettato di rispettare il codice deontologico di Federmindfulness.
Insomma, io sono questa professionista qui: una che fattura, che fa firmare il modulo informativo, la privacy, il permesso di ricevere e dare comunicazioni via email eccetera, eccetera. Far passare tutto ciò è imprescindibile.
Una pubblicità come: “Guarda com’è bello questo percorso, cambierà la tua vita, diventerai la versione migliore di te!” è incompatibile con me.
Non voglio parlare alle paure delle persone per vendere sollievo.
Non voglio confondere il bisogno di prendersi cura con la FOMO.
Non voglio creare scarsità dove dovremmo sentirci abbastanza.
Eppure, una cosa l’ho imparata: se non parliamo noi delle cose buone che facciamo, lo farà qualcun altro al posto nostro – e magari senza alcuna cura.
Quindi sì, mi tocca parlare di SCQCC, ma a mio modo: con esitazione e insieme con fermezza, con un po’ di imbarazzo ma anche con un gran desiderio di condivisione.
Se tutte e tutti i professionisti che vogliono proporre i loro servizi eticamente e nel rispetto delle persone si coalizzassero creando un movimento gentile di intervisione, sono veramente convinta che potremmo fare meglio. Parlerò di questo sabato 17 maggio 2025 ad un evento chiuso dell’associazione Delya qui a Roma.
SCQCC non è un “corso mindfulness qualunque”, come io non sono una professionista improvvisata e anche se non mi viene facile, chissenefrega, me lo devo riconoscere.
È il risultato di anni di lavoro su di me e con gli altri.
È il frutto delle storie che mi sono state raccontate, dei commenti che mi sono stati lasciati, delle fatiche dette sottovoce.
Non prometto miracoli, ma di insegnare a stare, in mezzo a tutto.
Con gli strumenti giusti, con qualcuno accanto, con la possibilità reale di sentirsi meno perse e persi.
Se vuoi dare un’occhiata al percorso e a quanto mi sono sbattuta per rispettare i futuri praticanti, la mindfulness e me stessa, clicca qui: ✨ Stare con quello che c’è ✨
Perché anche chi partecipa merita un contesto dove la promozione non strilla ma accoglie. Dove non sei cliente, ma persona in cammino.
Oh! L’ho detto!
Ora che mi sono sbottonata: voi, che rapporto avete con l’idea di proporvi? Avete mai provato disagio nel mostrare il vostro valore? Se vi va di raccontarmelo leggo molto volentieri.
Ispiri competenza e fiducia in tutte le cose che scrivi. Secondo me questa cosa di dire sempre la verità anche quando questa riguarda la propria professionalità e la propria bravura è un modo bellissimo di promuoversi. E spero ti porti i frutti meritati.
Ciao Giovanni, ti ringrazio tantissimo per il feedback. Mi fa proprio piacere sapere che ti sono arrivata in questo modo. Come mi dice mio marito (veneziano ma adottando un modo di dire romano) "non ti tieni un cecio in bocca". Se decido di espormi non riesco a non dire tutto, sennò mi sento una frode.